Erika Bianchi

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Erika Bianchi

Alla fine a Cave ci sono stata.
Non in piena estate, nel chiostro magnifico, in un giorno di fine giugno col sole appeso all’orizzonte fino a dopo cena, no. Il premio non l’ho vinto, e quindi il trionfo del vincitore non mi è toccato. Avevo sognato, nei mesi della candidatura, l’ormai famosa torta con cui un pasticcere della zona celebra il libro che vince. Credo sia una torta che si ispira ai temi del romanzo, non so bene come venga realizzata, non ho visto foto. Ma io la mia me la immaginavo rivestita di pasta di zucchero colorata, a forma di bicicletta, con le lucertole tra l’erba.
Confesso che la cosa che mi dispiacque di più, quando mi dissero che ero arrivata seconda per una manciata di voti, fu la torta che non sarebbe mai stata realizzata.
Sono arrivata a Cave un venerdì pomeriggio di fine marzo, dopo un incontro con gli studenti del liceo Cartesio di Olevano Romano che in realtà è stata una festa a sorpresa per me nel teatro della scuola. Gli studenti hanno messo su uno spettacolo basato sul mio libro, e la mia commozione è stata violenta e inaspettata.
Perciò quando il pomeriggio sono arrivata a Cave avevo il cuore già in salamoia, e qualcosa mi diceva che non fosse finita lì.
L’associazione Caffè Corretto è un gruppo di persone (donne, per la maggior parte) che amano i libri e attraverso i libri socializzano, si scambiano idee, consigli, si stanno vicine, crescono, trasmettono amore per la lettura e per le persone.
Chi arriva a Cave per via di un libro che ha scritto, viene travolto da questo amore.
Mi aspettavo che alla mia presentazione venissero tre gatti, le donne dell’associazione e qualche mamma o sorella o amica del cuore per fare numero. Invece c’era la sala piena e la gente persino in piedi o seduta per terra, e la fila fino alla porta.


Forse erano venuti per lo spettacolo, perché le presentazioni dei libri a Cave non somigliano per nulla alle presentazioni dei libri negli altri luoghi del pianeta, ma sono sostanzialmente piccoli spettacoli che coniugano letture interpretate di passi del romanzo e musica suonata dal vivo, e alternano i momenti di conversazione e domande dal pubblico a queste piccole perle offerte dalle persone del posto, e tutto l’insieme è di un tale calore e di una tale generosità che il cuore dell’autore sente di essere finito in un’imboscata e non ce la fa a difendersi, a schermarsi dalle domande personali, a scrivere solo due parole durante il firmacopie. A Cave ho abbassato le difese, mi sono fatta abbracciare. Ho speso tempo con le persone che venivano a ringraziarmi, avrei voluto dire loro che accogliere il loro ‘grazie’ mi sembrava un’impostura, grazie di cosa. Di scrivere non posso fare a meno, lo faccio per me, non per gli altri, e per il resto sono io che ringrazio voi. Di avermi accolta come in una casa a cui appartengo. Degli sguardi caldi, dei sorrisi, della partecipazione. Della presentazione preparata con cura, delle confidenze che mi avete fatto dopo, delle lacrime, dei fiori e dei dolci che qualcuno, non so neanche chi, ha confezionato per me. Della tazzina che ho ricevuto anche se non ho vinto. Ci berrò il caffè scorretto, in quella tazzina.
Grazie della cena, delle canzoni, degli stornelli. Dell’ospitalità. Di avermi fatto venire voglia di tornare, partecipare di nuovo al premio e stavolta provare a vincerlo.
Grazie per ciò che avete fatto per me, e per quello che fate ogni giorno tra voi e per voi e per i libri di tutti.
È bello sapere che ci siete.